Una redazione in cerca d’autore: William Eggleston

William Eggleston

William Eggleston, nato in una famiglia benestante del sud degli Stati Uniti nel 1939, è stato tra i primi a legittimare l’uso del colore nella fotografia. In gioventù si iscrisse a diversi corsi universitari, ma senza mai concluderne uno.

Fu, però, in quel periodo che iniziò a dedicarsi alla fotografia usando una Leica.
Ispirato dal libro di Henri Cartier-Bresson “il momento decisivo”, Eggleston inizio’ a scattare in bianco e nero, ma furono i suoi successivi lavori a colori che cambiarono veramente il mondo della fotografia, tanto da essere comunemente riconosciuto come uno dei padri della fotografia a colori.

Nonostante ciò, quando esordì sulla scena della grande fotografia, le sue immagini furono oggetto di aspre critiche, anche da parte di illustri colleghi.


Nel 1967 portò alcune delle sue fotografie a colori a John Szarkowsky, curatore della fotografia al MoMa di New York e nel 1976 fu il primo artista al mondo a realizzare una personale di fotografie a colori in quel museo.

Quando furono esposte per la prima volta le sue fotografie iper-saturate, il suo stile provocò un terremoto dell’establishment fotografico dell’epoca, ancora legato alla fotografia in bianco e nero.

Ansel Adams scrisse, addirittura, una lettera di lamentele al MoMa di New York ed Eggleston fu unanimemente stroncato dalla critica.

Oltre all’uso del colore, quello che risultava particolarmente sconcertante era l’attenzione di Eggleston per il banale, che gli adepti del “momento decisivo” ritenevano noioso e insignificante.

Le fotografie di Eggleston sono così: apparentemente banali, una semplice registrazione a colori di ciò che lo circonda. Ma luce, composizione e colori seguono un disegno preciso.

Oggi la sua vistosa scala cromatica ed i suoi motivi ricorrenti (cartelli stradali, automobili americane, bottiglie di salse nei fast food, oggetti kitsch) hanno in parte perso la loro capacità di meravigliare il pubblico.

D’altro canto, il suo enorme  impatto su fotografi come Stephen Shore, Martin Parr, Nan Goldin, ma anche su registi come Wim Wenders e Gus Van Sant, testimonia come il suo “sguardo democratico” si sia sedimentato nella cultura visiva generale, in un modo che pochi altri fotografi possono vantare.

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